Da Medellin ci dirigiamo a sud, entrando nel cosiddetto Eje Cafetero, regione paisa produttiva, calda, prospera e accogliente inscritta più o meno nel triangolo Armenia, Manizales, Pereira.
Delle tre scegliamo come punto di partenza Manizales, all'apparenza (e secondo la Lonely Planet) la più interessante. Ci arriviamo con un viaggio non troppo lungo (ormai siamo abituati a ben altro) da Medellin, godendo bei panorami e lasciandoci alle spalle il caos cittadino degli ultimi 10 giorni. Il terminal di Manizales è un pò fuori mano, ma l'anno scorso è stata terminata la più grande opera ingegneristica cittadina, cioè la lunga cabinovia che risale il monte fino alla città vera e propria, abbarbicata sullo spartiacque, così non dobbiamo neanche prendere un taxi per arrivarci e soprattutto ci godiamo il panorama e la salita.
Salendo al centrocittà |
Il monumento al Libertador Simon Bolivar più originale di tutto il Sud America |
Ci mettiamo un pò, questa volta, a trovare un posto per la notte e andiamo a finire nella zona degli alberghi a ore, nell'unico motel dal prezzo abbordabile e senza scarafaggi. L'unico problema è il continuo viavai di coppiette di ragazzi e anche attempati che vengono a passare un paio d'ore di fuoco... Ma tanto con la stanchezza che abbiamo addosso tutte le sere chissenefrega, inoltre le signore della reception sono simpatiche e ci fanno un sacco di domande sui viaggi e sull'Italia, così il Nuevo Milenio (che ci offre pure la connessione a internet con wi-fi) diventa la nostra casa per un paio di giorni.
Visto che si è fatta una certa ora ci limitiamo a mangiare qualcosa e andarcene a letto, per sfruttare appieno la giornata di domani. Degne di nota le fenomenali empanadas di un locale un paio di quadre dalla plaza, sempre appena uscite dall'olio bollente e accompagnate da ottime salse.
Il giorno seguente ci imbarchiamo per uno dei parchi della zona, vere attrazioni di una città commerciale che altrimenti non offrirebbe molto ai visitatori (a parte le empanadas...), il Parque Los Yarumos, più vicino al centro degli altri che abbiamo in programma di visitare nei prossimi giorni.
Naturalmente andiamo a piedi, percorrendo tutta l'avenida Santander, stradone che attraversa tutta la città dal centro storico al centro "moderno", per almeno un'ora e mezza di camminata osservando sul nostro cammino pizzerie, fast-food, traffico e pedoni affannati.
Los Yarumos è un bel parco che offre una vista spettacolare su Manizales e le vette che la dominano, protegge un bel bosco nebulare e inoltre offre un sacco di attrazioni come il canoping e una mostra di farfalle.
Peccato però che non possiamo vedere niente di tutto questo, c'è una manifestazione musicale, Manizales Grita Rock, tra l'altro di una certa importanza a livello nazionale, e l'unica area aperta al pubblico è l'arena che ospita i concerti. Naturalmente decidiamo di entrare a dare un'occhiata dopo la lunga attesa imposta dalle guardie per consentire allo staff di terminare i preparativi.
Sotto una pioggia battente veniamo perquisiti approfonditamente, comprese borse e tasche, almeno tre volte prima di riuscire a entrare, ci sono per il momento più poliziotti che ragazzi e la ricerca di sostanze stupefacienti è accurata. Non si può neanche far entrare alcool nè la vendita ne è consentita all'interno. Un concerto senza birra e ganja... Mah!
Comunque entriamo e scopriamo che i gruppi sul palco non sono niente male, si spazia dal reggae allo ska al punk.
Tutto sommato trascorriamo un paio d'ore interessanti, poi senza aspettare il clou che sarà a sera tarda, ce ne torniamo sui nostri passi per organizzare la visita a un altro parco, visto che questo sarà chiuso anche domani.
Pochi chilometri fuori città c'è la Riserva Rio Blanco, anche questa in piena foresta nebulare e piena di specie animali e vegetali, tra le quali un sacco di colibrì, orsi andini e orchidee. Per entrare bisogna richiedere un permesso all'associazione che la gestisce e abbiamo l'indirizzo, così andiamo a cercare l'ufficio.
Purtroppo nonostante giriamo per mezza città come matti non si riesce a trovare, così decidiamo di fare una semplice telefonata, scopriamo così che devono aver evidentemente cambiato sede perchè mi risponde il centralino di un centro commerciale...
Purtroppo nonostante giriamo per mezza città come matti non si riesce a trovare, così decidiamo di fare una semplice telefonata, scopriamo così che devono aver evidentemente cambiato sede perchè mi risponde il centralino di un centro commerciale...
Ce ne torniamo sconsolati in albergo, non prima di aver fatto risalire il morale con una bella dose di empanadas con salse!
Ultimatum a Manizales: cerchiamo su internet il numero del responsabile della riserva, domattina proviamo a chiamare, se ci da buca affanculo Manizales e scappiamo per altri lidi.
E infatti, il coglionazzo è irreperibile nonostante sul sito dell'associazione ci siano tre e dico tre numeri di cellulare, così visto che ancora siamo in tempo ci prendiamo un autobus e ce ne andiamo a Salento, fanculo tu, il parco e Manizales!
Arriviamo qui dopo i due giorni trascorsi a Manizales, che al contrario non abbiamo apprezzato granchè, vuoi per l'atmosfera grigia, vuoi perchè forse dopo Bogotà e Medellin siamo stanchi di vita cittadina, anche se questa non ha niente a che vedere con le due metropoli. Il viaggio da Manizales è veloce e tranquillo, passiamo per Pereira, altra industriosa cittadina antioquena e paisa, da cui prendiamo un microbus diretto a Salento, che raggiungiamo nel primo pomeriggio.
La buseta arriva fino alla piazza principale del paese, dove veniamo accolti da un paio di tassisti e da un ragazzino che si improvvisa cacciatore di turisti, portando in giro i nuovi arrivati alla ricerca di un albergo o simili in cambio di qualche spicciolo.
Lasciamo Giuliano con i bagagli in piazza e il piccolo Diego, che avrà si e no undici anni, mi accompagna a chiedere prezzi e disponibilità di camere e dormitori in paese.
Esaminate diverse opzioni scegliamo un bell'ostello, non proprio regalato ma comunque ancora dentro il budget, a due passi dalla piazza centrale, il Tralala, gestito da un olandese che si è trasferito qua da un paio d'anni dopo lungo peregrinare in Latinoamerica.
Il posto è decisamente ben curato e tranquillo, dentro una vecchia casa d'epoca coloniale con tanto di patio e balconi.
Tempo di sistemare le nostre cose negli "scatoloni di sicurezza" sotto il letto e subito usciamo a dare un'occhiata al paesello, caratterizzato da uno stile coloniale che riporta indietro di un paio di secoli, coi suoi muri imbiancati, i balconi di legno e le strade ciottolose.
In particolare merita qualche riga una delle calli e est della plaza mayor, che è adornata di porte, finestre e balconi multicolore per tutta la sua lunghezza e termina con la scalinata che porta al mirador cittadino, piena di botteghe che vendono artigianato e souvenir.
Ci inerpichiamo sul mirador, doppiando in salita gli ansimanti signori di mezza età che rischiano l'infarto a ogni gradino. Da qui si gode di una meravigliosa panoramica su Salento e le Ande che lo circondano maestose e anche verso i boschi sottostanti.
Visto dall'alto, il villaggio è ancora più fascinoso, una manciata di tetti con le tegole rosse che confinano con la foresta tutto intorno, i monti e la valle di Cocora.
Scalinata al mirador |
Un pò di spesa (visto che abbiamo la cucina a disposizione risparmiamo un pò cucinandoci la cena) e di corsa a mangiare perchè abbiamo saltato il pranzo a favore di un viaggio più rapido.
Per la comida proviamo la specialità della zona, la trota che viene cucinata in mille modi diversi, in una delle bancarelle intorno alla piazza. Almeno una volta tanto ci concediamo una variazione sul classico menù quotidiano sopa-arroz-frijoles-platano-carne, con la cucina fai da te cominciamo domani.
La trota mixta è qualcosa di spettacolare. Viene servita con una crema di formaggio fresco, champinones e gamberetti ed è una vera delizia. Naturalmente accompagnata dal patacon, che qua invece di essere spesso e morbido è sottile, croccante e grande come una pizza.
Ci alziamo dal tavolo sorridenti e soddisfatti.
Trucha mixta |
Il mattino seguente andiamo subito subito ad affrontare la camminata dentro el Valle de Cocora, punto di forza della regione, affascinante meta di turisti colombiani e stranieri.
Per arrivare a Cocora, il villaggio da cui si accede alla valle, dobbiamo necessariamente viaggiare con un willy, che altro non è che una piccola jeep scoperta.
Sveglia prima dell'alba e via, andiamo ad aspettare la partenza del primo mezzo diretto a Cocora (alle 6!).
Willy! |
Il retro della macchina si riempe in fretta di ragazze, signore, uomini in poncho e cappello e qualche sacco di farina trova posto sul tetto dell'abitacolo, così io e Giuliano pensiamo di dover aspettare la prossima salida... ma non è così, questo è l'unico willy che parte a quest'ora e così ci appollaiamo in piedi sul parafango a prenderci in faccia la brezza fresca del mattino.
Manco arriviamo alla fine del pueblo che si aggregano alla combriccola altri 3 o 4 contadini, di cui uno sul tetto insieme alla farina, per un totale di 13 passeggeri più il guidatore!
L'esperienza in fondo si rivela divertente, oltretutto arriviamo anche a Cocora tutti interi e in orario perfetto per tomar un tinto e partire per la lunga passeggiata.
Già in principio del percorso il paesaggio è spettacolare, campi aperti punteggiati di vacche in fondo alla valle soleggiata, sovrastata dalle montagne ancora avvolte dalle nubi del mattino tutto intorno e soprattutto una moltitudine di palme della cera spilungone su tutti i declivi.
Spettacolare forse è dire poco.
Incontri a Cocora |
Camminando per un paio d'ore si arriva alla foresta nebulare, intricato bosco d'alta quota tipico dei tropici, chiamato nebulare perchè imprigiona l'acqua formando una perenne nebbiolina appunto.
Camminiamo a bocca aperta (per lo stupore e per la fatica) in mezzo agli alberi e scoprendo un gioiellino di cascata nascosto dai massi e dalla vegetazione, poi si comincia ad attraversare il fiume una volta dopo l'altra su piccoli ponti traballanti o tronchi posizionati ad hoc sopra le rapide e le cascatelle che creano un ambiente bucolico e sorprendente a ogni mirada. E naturalmente si sale di quota.
Camminando nella foresta nebulare |
Nuovi amici |
Doko. O il Maestro dei Cinque Picchi per i profani |
Durante il cammino cominciamo a incontrare altri turisti, pochi per fortuna, giunti con la seconda turnata di willies. Tutti vanno nella nostra stessa direzione, la (così la chiamano) riserva di Acaime, che più che una riserva è una specie di fattoria abbarbicata su un ripidissimo pendio che i proprietari aprono al pubblico per mostrare un'esibizione di fiori e animali, che in realtà non ci sono, nè i fiori nè le bestie, perchè a quanto sembra l'ultima manutenzione risale almeno a un paio di anni fa...
Oltre all'aguapanela (la panela è zucchero di canna grezzo venduto in blocchi) con formaggio l'unica nota positiva è la moltitudine di colorati e guizzanti colibrì che circonda la casa, nutrendosi nelle "casitas" e i cespugli di fiori si lasciano ammirare.
Quanto è difficile fare una fotografia a un colibrì? Non si fermano un attimo!
Aguapanela con queso |
Da Acaime proseguiamo oltre, salendo fino alla cima del colle a circa 2800 metri, dove è rimasto in piedi un posto d'osservazione a dire il vero decisamente traballante da cui si può vedere tutta la vallata in entrambe le direzioni. Un breve riposo, che la salita è ripida e faticosa, insieme a un tizio olandese che per poco non ci rimane secco d'infarto, andiamo a cercare il sentiero che conduce alla Montana, base delle guardie forestali che offre un bel panorama ed è l'ultimo punto di riferimento prima di scendere nuovamente a Cocora dall'altro lato della valle.
Quindi continuiamo a salire ma ci fermiamo quando l'altitudine segna 3000 metri... dovremmo in realtà scendere e risalire dall'altro lato, quindi 3000 sono troppi. Infatti, fortunosamente, incontriamo un pò di ragazzi che stanno scendendo proprio nella nostra direzione dopo una nottata di campeggio a Estrella del Agua che ci indicano la strada da seguire e così scendiamo con loro fino a tornare al fiume dove troviamo il bivio per la Montana e ricominciare quindi da capo la salita sull'altro versante...
ce la prendiamo comoda raccogliendo un sacco di fragoline di bosco lungo il cammino e risaliamo ancora fino ai 2800... Giunti ai piedi de La Montana troviamo un prato intero di fragole e andarsene via lasciandone lì così tante è una mezza impresa...
Da La Montana, come ci aspettavamo, la vista è bellissima sulla valle e la cima rocciosa e appuntita di fronte, le nuvole che si incanalano nel canyon corrono veloci e creano un'atmosfera magica salendo e attorcigliandosi in larghe spirali bianche, coprendo le vette e lasciandole di nuovo vedere un attimo dopo.
Ci fermiamo un pò quassù, ammirando il panorama, i fiori e anche qua i colibrì annunciati dal tipico ronzio.
Il ritorno da qui è ormai una passeggiata di salute, tutto il percorso è in discesa e ben battuto, ma nonostante sia molto più semplice e meno faticoso del cammino di andata, è ugualmente spettacolare. Ci troviamo ancora avvolti dalla foresta, sovrastati da immense palme della cera, coi loro tronchi altissimi e il pennacchio verde in cima, che ti guarda da lassù come a dire "visto che roba?".
Inutile dire che di fronte a loro ti senti come un esserino senza conto...
Sotto la palma della cera |
L'escursione è incredibilmente ricca di sorprese fino agli ultimi passi, quando ci ritroviamo, a un quarto d'ora di distanza dalla "civiltà", dentro un boschetto di palme della cera che fanno da sipario alla valle inondata dalla luce calda del tardo pomeriggio. E in questi casi non c'è photoshop che tenga il confronto.
Possiamo tornarcene esausti e felici a Salento, visto che è ormai quasi buio, con l'ultimo willy in partenza da Cocora, manco a dirlo con 12 persone a bordo (manca quello sul tetto...).
Le rivelazioni e le sorprese però non sono ancora finite! Tempo di una doccia veloce e ti preparo un piatto di penne alla crema di peperoni da fare invidia ai primi che cucina Giuliano, tiè! Giusto giusto c'avevamo fame... alla faccia di tutti sti belgi olandesi australiani ecc. che vengono qua. Si mangiano le scatolette e dicono ammazza che profumo cucina italiana? Almeno una cosa di cui andare fieri ci vuole...
Ricchissima e lunga dormita e poi un pò di riposo mattutino, uscita solo per un fantastico caffè espresso (visto che da qua in giù è la coltivazione principale) e per comprare un paio di galletas e banane per il desayuno. Passiamo la mattina sonnecchiando un pò, tv per Giuliano e skype (a voce finalmente!!) con Rachele per me, e l'ora di pranzo arriva in un baleno.
Dopo l'ennesimo almuerzo a base di riso fagioli e carne asada, riprendiamo a camminare, destinazione la finca di Don Elias.
Paesaggio "salentino" |
Turisti pigri |
Cosecha de platanos |
Verso la finca di Don Elias |
Andiamo a vedere, dopo averne bevuto ettolitri nel corso della nostra vita, da dove viene il caffè, visitando questa piccola fattoria dove si coltiva, raccoglie, sguscia, secca, tosta e infine macina il caffè. E alla fine si beve pure.
Questo è molto interessante, ti pare che beviamo caffè tutti i giorni e non sappiamo come è fatto un chicco e come è fatta una pianta?
Don Elias è un simpatico signore piegato dall'età e dagli acciacchi, che gestisce la finca di famiglia da decine d'anni. Qui non soltanto si produce il caffè ma anche tutto o quasi il sostentamento degli abitanti della fattoria: ci sono banani, platanos, un paio di lulo (bellissimi!), aromatiche, medicinali, qualche bestia.
Lulo |
Caffè. Quello rosso è un chicco maturo |
Il giovane Carlos, aiutante di Don Elias, ci guida tra gli arbusti spiegandoci cosa vediamo, quali sono le piante buone e quali no, quando si raccoglie, le varietà, ecc... ci fa vedere la seccatura e la pulitura dei chicchi e ne macina per noi una manciata, per prepararci un caffè coi fiocchi anche senza moca (che sarà compito di Don Elias in persona).
Il caffè è buonissimo, anche preparato con acqua calda sopra un filtro contenente la polvere, immagino che poteva essere preparato con una buona macchina... mmmm...
Il simpatico e saggio Elias chiacchiera con tutti gli ospiti della sua finca, mentre assaggiano il frutto del suo sudore (anzi del sudore di Carlos...), non so come andiamo a finire a parlare delle elemosine e di quelli a cui si può regalare qualcosa e quelli a cui invece non bisogna dare niente perchè "son drogaditos. Ellos piden, tengo hambre pero quando te doy pan me pides plata para comprar droga". Pensiero condivisibile.
Dobbiamo salutare il simpatico vecchietto perchè ci aspetta ancora un pò di cammino prima di raggiungere l'autobus per il ritorno a Salento, perchè naturalmente non torneremo per la stessa strada dell'andata che adesso è tutta tutta in salita.
Così ci imbarchiamo per un sentiero che attraversa El Ocaso, un'altra grande piantagione di caffè, e ridiscende al piccolo fiume in fondo alla scarpata. Da lì si passa attraverso campi verdi, alberi in fiore e un vecchio pueblo diventato una specie di località di villeggiatura, fino a Boquia, dove arriviamo che è già buio, compriamo un pò di formaggio e saliamo al volo sulla buseta per Salento.
Sulla strada del ritorno |
Il nostro soggiorno nella cittadina termina qui, con la scoperta, il mattino seguente, che non ci sono bus notturni per Popayan, nostra prossima tappa andina.
Ci tocca cambiare così i piani per la giornata e prendiamo la prima buseta per Armenia e quindi la coincidenza per Popayan, dove arriveremo all'imbrunire.
Hasta luego!
Hola chiquillos un abrazo, despues de tanto tiempo, esperamos verlos pronto. Hermosos los lugares que estàn visitando nos hacen sonar un poco. Hasta pronto y un otro abrazo cuidense siempre y atenciòn Daniel con el PICAFLOR de Julian.
RispondiEliminaStefano y Beatriz