La mattina prescelta per la partenza, però, ci viene il colpo di genio di rifarci tutta la costa fino a Rioacha e da lì arrivare a Cabo de la Vela.
Detto fatto. Un caffè al volo, torniamo in albergo a recuperare gli zaini e andiamo a prendere un autobus diretto verso La Guajira, la regione più settentrionale del paese e del continente.
Il viaggio, come al solito, è lungo e arriviamo a Rioacha solo verso sera.
Una breve passeggiata e troviamo una sistemazione non troppo lontano dal terminàl e dal punto da cui partono i por puestos che percorrono la strada verso il Cabo, che poi è quella che abbiamo già percorso venendo da Maicao, al confine con il Venezuela.
L'hotel sta praticamente dentro il mercato cittadino, così ne approfittiamo per mangiarci qualche zozzeria da carretto (salchichas y papas) e assaggiare qualche altro succo dei numerosi frutti disponibili, sapote per me e lulo per Giuliano. Fra qualche post pubblicheremo un pò di foto di frutti e cibarie, c'è una varietà da far impressione...
Poi a letto presto perchè il viaggio per Cabo de la Vela è lungo e faticoso.
Per arrivare in cima al continente prendiamo prima il por puestos diretto a Maicao, che ci lascia a un grande incrocio popolato da capre, tassinari e venditori ambulanti chiamato Quatro Vias. Da qui c'è un altro por puestos che va a Uribia, cittadina polverosa proprio in mezzo al deserto.
A Uribia cerchiamo il mezzo per raggiungere il Cabo e scopriamo che è un 4x4 (di asfalto da qui in poi non c'è neanche l'idea) che dovremo compartire con altre 7-8 persone e soprattutto una quantità (e varietà) di mercanzie dirette al villaggio.
Nell'attesa che il carro sia carico (stracarico) ci guardiamo intorno e andiamo anche a fare colazione. Colazione "leggera" con friche che altro non è che pezzi di capra cotti nel suo stesso grasso insieme alle interiora, con vicino l'immancabile riso al cocco e un paio di platani.
Detto così sembra una schifezza, in realtà è un piatto molto saporito e dal gusto particolare, tipico della Guajira, che probabilmente ospita più capre che persone. E naturalmente succo di guayaba.
Friche |
Mentre mangiamo fanno la loro comparsa, tra uomini e donne wayuu, gli abitanti indigeni della regione, due ragazze che di wayuu non hanno proprio niente, così rallegrandoci per aver scoperto di non essere gli unici turisti, andiamo a fare conoscenza.
Maria Fernanda e Constanza, entrambe da Bogotà, viaggieranno con noi sul 4x4, anche loro contente di non essere le uniche "straniere" e avremo modo di passare insieme una piacevole giornata, soprattutto Giuliano... ma questa è un'altra storia...
Per caricare la macchina ci vuole un bel pò, ci sono casse e scatoloni stipate un pò dappertutto, sul tetto e nel cassone, tanto che cominciamo a chiederci se rimarrà un pò di posto per noi esseri umani.
Poi arriva anche un pò di gente che dovrà salire sul mezzo.
Incredibilmente riusciamo ad accalcarci tutti quanti nel retro della jeep, tra scatole e gambe e piedi non c'è quasi spazio per respirare, ma tant'è... non c'è un trasporto pubblico per Cabo de la Vela e l'unico modo per raggiungere il pueblo senza partecipare a un'escursione organizzata è questo.
Anche gli autoctoni sembrano abbastanza divertiti della situazione, e ho detto tutto.
Da Uribia a Cabo sono due ore abbondanti di viaggio su strada sterrata che diventa a un certo punto una specie di percorso a ostacoli tra buche e alberi, finchè la strada vera e propria finisce proprio e si passa per alcuni tratti anche sulla spiaggia a un metro dal mare...
Giuliano, MaFa e un wayuuino che non si sa come riesce a dormire per tutto il viaggio |
Superfluo dire che l'emozione, nonostante il dolore alle chiappe e le gambe addormentate, è tanta. Attraversiamo paesaggi incredibili fatti di deserto, cielo e mare, chiacchierando (quando Costanza si azzitta un attimo... parla un pò di italiano e deve per forza accollarsi per fare pratica...) con i pescatori che viaggiano con noi che ci raccontano della Guajira prendendoci un pò in giro.
Nel frattempo Giuliano fa gli occhi dolci alla nuova conoscenza Maria Fernanda...
Viaggia con noi anche la signora Gloria, che ha una "posada" (notare le virgolette) al Cabo che ci ospiterà per questi due giorni.
Grand Hotel |
Poooca sabbia |
Il deserto lambisce il mare azzurro, le casette dei pescatori fatte di cactus si susseguono lungo il sentiero sabbioso, tutte le donne indossano i colorati abiti tradizionali, i visi degli uomini sono induriti dal sole e dal sale, le capre si aggirano tra le baracche mentre gabbiani e pellicani volteggiano sopra le barche dei pescatori.
Casa Wayuu |
Cabo de la Vela |
Pescatori |
Questo se te prende te mette le mani addosso! |
La Guajira è una regione aspra e difficile, talmente isolata dal resto della Colombia che sembra di essere in un altro pianeta. E' diversa da tutto quello che abbiamo visto finora, l'atmosfera che si respira è da fine del mondo, siamo in un luogo dove il tempo sembra quasi non esistere, o perlomeno non essere così importante...
I suoi abitanti sono praticamente tutti indigeni Wayuu, quei pochi che non lo sono sono mestizos di prima generazione.
Gli Wayuu hanno fama di essere persone dure e scorbutiche, qualcuno dice anche che si tratta di gente pericolosa. In effetti qua non arriva l'autorità, non arrivano le "regole dello stato", questo popolo vive rispettando un proprio codice di condotta secondo uno stile di vita tradizionale, antico. I loro sguardi sono fieri, le loro mani callose, non c'è una donna che non sia vestita col tipico abito e un uomo che non indossi le tipiche calzature.
Signora Wayuu |
Però sono tutt'altro che scorbutici e pericolosi, anzi troviamo gente, in particolare i bambini e i ragazzi, amichevole e curiosa, parecchi ci salutano con un sorriso e alcuni ci fanno qualche domanda: da dove vieni, che lavoro fai, dove vai...
Ci mangiamo un'aragosta (la prima volta per me!) squisita e poi andiamo a farci una camminata tutti e quattro sulla spiaggia, attraversando tutto il villaggio fino a una collina a picco sul mare chiamata El Faro, dal quale si gode un panorama straordinario e ammiriamo uno dei tramonti più belli che mai visti.
Il Cabo dalla collina |
Tardecer da El Faro |
Fortunatamente per tornare troviamo un passaggio su un altro 4x4 perchè la strada è lunga e naturalmente non c'è illuminazione. Arrivati alla nostra stanzetta scopriamo che non funziona neanche il piccolo generatore della signora Gloria e siamo a lume di candela... in compenso si vede un cielo stellato da urlo.
Il mattino seguente dopo una ricca colazione con un buon perico (che chiamerei piuttosto pericolo, per il fegato! Si tratta di uova strapazzate con pomodoro e cipolla!) ci imbarchiamo per una lunga camminata verso il Pilon de Azucar, solo io e Giuliano perchè le ragazze già sono ripartite per il mondo civile, che vediamo in lontananza alle spalle delle baracchette e di un bel pezzo di deserto.
Durante la camminata incontriamo un solo altro essere umano, Teo, italiano che abbiamo conosciuto il giorno prima guardando i kitesurfisti sfrecciare nella baia del Cabo. Le altre presenze vitali sono soltanto capre e uccelli...
Cuida los cabritos! |
Arriviamo al Pilon in un paio d'ore, sotto il sole cocente, bei fenomeni che siamo a camminare in ciabatte e senza maglietta... ci ringrazieranno le nostre povere spalle bruciacchiate fra un paio di giorni!
Infrastrutture |
Che dire del Pilon? Si sale in cima alla collina sacra per gli wayuu e si può soltanto godere di questa vista mozzafiato, che spazia da un lato all'altro per tutta la Guajira, che si lascia ammirare in tutto il suo splendore selvaggio fatto di scogliere su cui si infrange il mare impetuoso e di sabbia rossastra a perdita d'occhio.
Trattenere le lacrime è molto difficile...
La playa del Pilòn |
Arrampicando |
Come il cristo re? |
Passiamo il resto della giornata al villaggio, dopo una veloce lavata con mezzo secchio d'acqua a testa perchè qui l'acqua è un bene tangibilmente prezioso, a chiacchierare con qualche ragazzino, ad ammirare il mare, a osservare le signore che vendono artigianato ai pochi stranieri che capitano da queste parti.
Cena veloce a base di camarones in ceviche e al ajo e poi a nanna, perchè domani ci aspetta una levataccia all'alba (anzi un pò prima dell'alba) e un lungo viaggio che ci porterà lontano dalla costa caraibica, nell'interno del paese, dove comincia la cordigliera andina.
Un pò d'acqua ci vuole proprio |
Ceviche de camarones |
Camarones al ajo |
E questo ha tutta l'aria di non essere un addio ma piuttosto un arrivederci.
Compagni di viaggio |
Nessun commento:
Posta un commento